Azzurra Immediato e Marco Tagliafierro

Armanda Verdirame: la scultura e la ‘materia essenziale’

di Azzurra Immediato & Marco Tagliafierro

da L’Occhio di Leone – 9 Luglio 2020

 

L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

“Dove l’artista ritoccherebbe il suo capolavoro ancora imperfetto o appena danneggiato, la natura preferisce ricominciare dall’argilla, dal caos; e questo sperpero è ciò che si chiama l’ordine delle cose” scriveva Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano, ed è all’argilla primigenia, ancestrale elemento di unione con la terra che penso quando immaginiamo Armanda Verdirame creare le sue opere, le sue sculture. Una antichità che lambisce la mitologia, che narra, attraverso il supporto della materia, l’immaginifico. Facendo un balzo indietro nella carriera della scultrice di Novara, scorgeremo le parole di Luciano Caramel che asseriva: “Armanda Verdirame lascia radicalmente da parte un’artisticità in chiave rappresentativa, portando – nel significato primo della parola – nelle opere la natura nei suoi elementi primari, la terra, il fuoco, l’acqua, l’aria, e mutuandone metodi e ritmi. Con l’aggiunta di una componente inedita particolare, che è tra gli aspetti distintivi dei suoi lavori: l’inserimento nell’argilla fresca di semi di cereali e legumi, in quanto simbolo di vita, e anche come gesto propiziatorio, come facevano gli antichi, spargendo sugli altari riso e orzo per Demetra”.

Ecco, dunque, che una serie di intuizioni di matrice ancestrale, cosmogonica, riesce a delineare un itinerario estetico che, mediante il rito antico del plasmare la materia, gemma una immaginifica realtà, metafora simbolica di un esistenzialismo profondo, tale da svelare quanto risiede e si cela nelle pieghe più profonde degli abissi dell’anima. L’emersione di tali moti è traslato dall’artista in forme che accolgono elementi extrascultorei, filiazione di una ricerca carica di sperimentazioni, avviata presto nel solco filosofico ed ontologico del significato del concetto di ecologia. D’un tratto, ciò che vi era prima, come l’acido nitrico delle incisioni, i coloranti sintetici ed altro, lascia il posto alle carte thailandesi, ai colori naturali ed alle argille, affidando alla materia tout court ruolo principe, rimandante al Manifesto del terzo paesaggio di Gilles Clèment.

Ci chiediamo se le sue origini di Trinacria possano considerarsi un elemento in grado di aver dato principio a questo profondo rapporto con la terra, con dettagli di qualcosa che esiste in fieri ma che è necessario rimodellare, cui offrire nuova forma, nuova identità; spesso l’arte è frutto di una sorta di riscrittura di un ricordo e di una corrispondenza verso grandi antiche civiltà, qualcosa di inspiegabile, che emerge senza una reale spiegazione e che pure, però, ha il potere di tradursi in segni e forme tangibili, riconducibili ad altro da noi, sospeso in una limbica dimensione, che è quella della memoria della collettività: ciò che lo spazio rappresenta per la memoria, per la cultura del ricordo è rappresentato dal tempo. Pur tuttavia, l’Arte segue un corso non sempre leggibile, affidato a riferimenti che appartengono al nostro inconscio e riportano in auge la valenza profetica del suo agire.

Nella seconda metà degli anni ’80, l’artista dà vita ad un personale e peculiare linguaggio poetico, una grammatica che attinge dalla Natura elementi atti alla narrazione estetica ed eziologica, nella quale figurano semi di graminacee e di cereali compenetrati nell’argilla; in essa l’impronta del seme inteso come emblema di vita, traccia dall’inestimabile valore da tramandare ai posteri ma anche principio costituente la vita da consegnare in segno di perpetua rinascita, diviene simbolo e custode di una Natura vessata e minacciata costantemente dall’uomo. Tale speculazione gnoseologica è stata definita ‘poetica del seme’ sì da rivelarsi focus trasversale e corale, in grado di farsi strada nella genetica, nell’astronomia, nella cosmologia ma anche nell’archeologia. Cielo, Terra e Storia fuse in un istante prezioso, quello dell’epifania artistica, ove i principi ancestrali dell’armonia e dell’equilibrio aureo tornano a raccontare di un infinito di cui siamo ancora protagonisti oltre che spettatori.

“Attraverso l’esplorazione delle argille, arrivo all’utilizzo dei cereali, inizialmente per alleggerire la materia come facevano gli antichi, ma poi il mio percorso verso la scultura, mi ha portato a scoprirne significati più profondi, verso valori universali, quali sono quelli legati alla vita da tramandare. (…) Attraverso la scultura, non voglio mai esprimere estetica formale e tantomeno solidità monumentale, bensì voglio sottolineare la fragilità del nostro momento storico, lasciando o meglio seminando… messaggi positivi.” In tali parole, Armanda Verdirame esprime la crucialità di talune concordanze, la struttura connettiva della società legata alla valenza del gesto, dell’atto maieutico che incarna la purezza della creazione, di impulsi che al di sotto delle superfici visibili ed esperibili sostano come cristallizzati, non qui e non adesso, eppure proprio in questi luoghi ed in questi istanti. Una poetica, imperciocché intrisa dello stretto legame tra significante e significato, in cui il dialogo tra i due si fa sospiro d’eternità.

In un simile alveo l’astante sarà condotto da nuovi riferimenti: le opere che afferiscono alla produzione ‘dagli scudi ai Big-Bang’ o agli ‘aneliti delle colonne’, tanto nelle forme quanto nelle titolazioni, sanciscono un rapporto profondo con cosmogonie ataviche che pur risuonano familiari ai nostri sensi, alla nostra percezione, come segni ed emblemi di qualcosa che propaga una eco profonda, istintuale. Uno sguardo lirico che muta in opere totemiche e ancora si trasforma nelle ‘carte con semi’ nei ‘fogli’ in bronzo o terracotta e ‘libri d’artista’, la cui forza ricorda le parole di Luigi Pareyson: “Che può la forma dell’arte intorno a te, se la passionata forza creatrice non t’empie l’anima e non affluisce alla punta delle tue dita, incessantemente, per riprodurre?”

L’arte di Armanda Verdirame, nel processo percettivo ed immaginativo, compie un percorso che si insinua felicemente e mistericamente in una tessitura lirica tra mito, simbolo e metafora.

 

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